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Fotografi e fotografia a Parma [ versione stampabile ]

Fotografi e fotografia a Parma 1839-1876

Roberto Spocci

La notizia della scoperta del procedimento dagherrotipico apparve, per la prima volta, sulla Gazzetta di Parma del 17 luglio 1839, mentre nella successiva edizione del 31 agosto il procedimento venne sommariamente illustrato dalle colonne del periodico locale. Alla consacrazione della neonata fotografia da parte della stampa italiana - contribuiranno, nel corso dell'anno, numerosi articoli divulgativi, opuscoli e pubblicazioni scientifiche.
Si daranno alle stampe le traduzioni dei primi manuali fotografici con il coinvolgimento di scienziati come Macedonio Melloni a Napoli, Tito Puliti a Pisa e Francesco Zantedeschi a Padova.
La pacata eleganza ed il rigore metodologico con la quale Melloni svolse la propria Relazione sul procedimento dagherrotipico non gli impedirono di far notare come le prove del Talbot, ch’ egli ebbe modo di osservare a Napoli presso Michele Tenore, Prefetto dell'Orto Botanico, pur non potendo acquistare la nitidezza dei dagherrotipi, “... si producono immediatamente sulle carte... [e] ... le copie delle stampe fatte per sovrapposizione ed esposizione dei raggi solari riescono assai meglio…”.
Nell’aprile del 1840 la parmense tipografia Rossetti diede alle stampe, notandola come prima edizione dopo quella di Napoli, la Relazione intorno al dagherrotipo letta alla R. Accademia delle Scienze nella tornata del 12 dicembre 1839 da Macedonia Melloni corredandola con alcune tavole illustrative assenti nell' edizione napoletana.
La pubblicistica iniziava a delineare le peculiarità delle due tecniche: da un lato si aveva la straordinaria capacità di trascrizione della realtà rappresentata dal dagherrotipo che però restava limitato dalla sua natura di “unicum”, dall' altro si aveva la calotipia che, costituita da un'immagine negativa su carta, pur presentando una scarsa nitidezza dovuta alle caratteristiche di opacità del supporto permetteva una produzione seriale delle immagini e dava corso alla fotografia analogica, come ancor oggi noi pratichiamo, basata sul rapporto negativo-positivo.
La prima notizia della presenza in città di un dagherrotipista itinerante è fornita dalla "Gazzetta di Parma" del 3 luglio 1844.
Dalle colonne del periodico si annunziava che era giunta in città Giuseppina Dubray, parigina, e che aveva preso alloggio in Borgo Felino, Casa Grassetti.
Infatti la fotografa parigina - probabilmente la prima donna fotografa ad operare in Italia - giunse a Parma con una raccomandazione del genovese Stefano Pescio all'incisore Paolo Toschi che assolse alla richiesta di inserire la Dubray(1) nel giro delle sue altolocate conoscenze.
Dopo la Dubray giungerà in città, nel 1845, un altro sconosciuto dagherrotipista itinerante, Alberto Weiss(2). Forse non è solamente un caso che spetti alla riproduzione di una incisione di Paolo Toschi eseguita nel 1846, "Lo Spasimo di Sicilia", descritto per la prima volta da Luigi Grazzi(3), di essere il più antico dagherrotipo conosciuto fra quelli eseguiti a Parma.

Fotografi dilettanti, itineranti e atelier fotografici

Il primo fotografo dilettante di cui abbiamo notizie certe è il marchese Giuseppe Manara(4), ciambellano degli ultimi Borbone. Idelfonso Stanga ci ha lasciato, di lui, questo ritratto: “fu uno dei primissimi che dipinse col sole. Le prime armi le fece colla dagherrotipia. Molti furono infatti i suoi somministratori per dagherrotipo, tra cui due esteri e importò una quantità di materiale dal 1847 al 1857... Dalla dagherrotipia passò appena possibile alla fotografia. Aveva come aiuto un certo Isola, che poi divenne fotografo... Fu pure uno scolaro il Conte Calvi”.
Manara, oltre che dagherrotipista, fu anche calotipista, come ha recentemente dimostrato il Rosati. Il suo nome, unitamente a quelli di Aminta Malpeli(5) e Fortunato Lasagna(6), è riportato ne "Il Parmigiano istruito nelle cose della sua patria" - nelle edizioni degli anni 1851-1852 - fra i ritrattisti dilettanti al dagherrotipo. Aminta Malpeli proveniva dall'ambiente scientifico quale conservatore del Museo di Storia Naturale ed è ipotizzabile che abbia utilizzato la fotografia anche a scopi professionali.
Fortunato Lasagna, pittore e patriota, oltre che la dagherrotipia praticò anche la calotipia.
Nel giugno 1851 apparve sulla "Gazzetta di Parma" un annunzio di un anonimo dagherrotipista itinerante - da identificarsi con Augusto Meylan - che, alloggiato nell' Albergo della Posta, eseguiva "ritratti colorati in miniatura Dagherrotipa giusta il nuovo metodo di Parigi"; Meylan tornerà a Parma nel 1852 e nel 1853. Nello stesso anno sarà presente in città il dagherrotipista Giacomo Borri che, annunzierà sulla "Gazzetta di Parma" del 15 febbraio 1853 di operare presso l'Albergo del Pavone e di eseguire ritratti al prezzo dalle "cinque lire alle ventiquattro compresa la cornice". Una seconda permanenza del Borri nella capitale del Ducato, ove giunse da Milano, è documentata nel giugno-agosto 1857.
In questi anni immediatamente precedenti l'unità d'Italia l'uso di farsi ritrarre in fotografia diventa una consuetudine per le classi abbienti e la presenza di fotografi "itineranti", ancora senza uno studio stabile in città tende ad aumentare di conseguenza.
Alcuni come Jean Clement Rusca, dopo una prima presenza come itinerante nel 1854, vi apriranno uno studio stabile (1859-1862) mentre altri continueranno a frequentarla occasionalmente come Guglielmo Herbig e Louis-Cyrus Macaire (1856) o Cesare Obici (1858)(7).
Ma ormai i tempi erano maturi per una clientela stabile ed in quegli anni vennero aperti in Parma i primi atelier fotografici ad opera del Conte Guido Calvi(8) e di Filippo Beghi.
Particolare rilevanza assunse la fotografia all'Esposizione del 1858 promossa dalla "Società d'incoraggiamento in pro’ degli Artisti di Belle Arti allorché vi esposero Filippo Beghi e Francesco Sidoli. Sempre in questi anni iniziarono l'attività gli studi di Carlo Saccani e Giacomo Isola.
L'attività del Saccani è databile dal 1857, dapprima in vicolo S. Tiburzio e poi in Strada S. Michele 81 (1862-1867). Il Saccani realizzò, parallelamente a Filippo Beghi, una serie di fotografie dell' Arco Trionfale eretto in onore del Vittorio Emanuele II (1860) che costituiscono il nucleo più antico della sua produzione giunta fino a noi. Attivo nel campo della ambrotipia (ritratti su vetro, parenti poveri del dagherrotipo) che abbandonerà nel 1864 ca., del ritratto e della fotografia di architettura è ricordato anche come editore di fotografie particolarmente per la riproduzione in fotografia dei cartoni danteschi dello Scaramuzza che espose a Parma (1870), mentre il ciclo del Paradiso non vide la luce che nella seconda metà degli anni Settanta dell'Ottocento.
Trasferitosi a Firenze nel 1866-1867, quale direttore della Fotografia Mazza, affidò lo studio di Parma alle cure del fratello Pio successivamente titolare in proprio di un affermato studio negli ultimi anni del secolo.
Nella produzione di Carlo Saccani assume grande rilevanza la campagna fotografica, per incarico ricevuto dal Comune di Parma, tesa a documentare all'Esposizione di Parigi del 1867 le numerose opere pubbliche realizzate nella nostra città.
Coevo al Saccani è il pittore e fotografo Giacomo Isola. L'Isola proviene da una famiglia di patrioti: i fratelli partecipano attivamente ai moti per l'Unità Antonio vestendo nel 1848-49 la divisa dei volontari parmensi della Seconda Colonna Mobile; Carlo e Giuseppe partecipando ai moti parmensi del 22 luglio 1854 per i quali saranno condannati ai lavori forzati a vita. Buon pittore paesista, allievo di Giulio Carmignani e compagno di studi del di lui figlio Guido, parteciperà regolarmente - dal 1854 al 1868 - alle Esposizioni della Società d'Incoraggiamento; della produzione pittorica di quegli anni sono rimasti quattro quadri: Veduta di Colorno dalla parte di S. Liborio, Paesaggio Montano, Bosco dal vero in Toscana e Voltone nei pressi dell'Università.
È di quei tempi il soggiorno di Isola in Toscana come apprendiamo dal resoconto della successiva Esposizione(9). La Società d’Incoraggiamento, ai soci non vincitori, assegnava un’incisione opera della locale scuola legata all’Accademia; la crisi economica avvitasi dopo l’Unità determinerà la soppressione di quest’usanza e farà si che sotto la presidenza di Luigi Sanvitale, a partire dal 1861, questa verrà sostituita da una copia fotografica realizzata appunto dall’Isola. Oltre a queste prime testimonianze fotografiche, una delle prime opere dell’Isola è costituita da una carte-de- visite conservata nel Museo di Villa Braghieri a Castel S. Giovanni in cui le indicazioni riportate dal marchio dello studio lo indicano come Pittore e fotografo all’indirizzo di Pescheria Vecchia 7. Nello stesso anno compare il primo Avviso commerciale: “Nello studio fotografico di Giacomo Isola, posto in Parma, pescheria Vecchia n. 5, trovansi vendibili i ritratti in fotografia degli onorevoli Crispi, Cairoli e Cadolini presi dal vero. La metà del guadagno sarà erogata in vantaggio della causa polacca”(10). Risale al 1863 l’iscrizione nella “Matricola dei patentabili del Comune di Parma” con la qualifica di fotografo con stabilimento in Pescheria Vecchia 5-7(11). Nell’ottobre trasporta lo stabilimento in piazza Duomo 13, nel Palazzo del marchese Dalla Rosa, “in un locale dotato di buonissima luce. Desso è stato fornito di mobili, prospettive ed altri accesorii occorrenti a rendere i ritratti, senza alcun aumento di prezzo, precisamente eguali a quelli che si fanno dai principali fotografi d’Italia. Quei signori che vorranno onorarlo di loro commissioni troveranno quella massima sollecitudine, precisione e buona volontà di cui si fa all’uopo affinché ogni loro desiderio rimanga soddisfatto”(12). All’Esposizione Industriale Parmense, organizzata nei saloni di San Paolo, si presenta con una collezione di ritratti e riproduzioni ricevendone una medaglia di bronzo per “lodevole esecuzione” della collezione di ritratti(13).
Non è certo chi gli fu maestro nell' arte fotografica se il Marchese Giuseppe Manara, come sostiene Idelfonso Stanga, o qualche insegnante dell' Accademia, certo non è un caso se altri suoi compagni di studi, Francesco Spada e Antonio Viglioli, abbandoneranno la tavolozza per la camera ottica, mentre l'amico Guido Carmignani la utilizzerà per il proprio lavoro di pittore.
Il primo periodo di attività dell'Isola coincide con gli anni in cui il fascino di Garibaldi fa accorrere molti parmigiani sotto le bandiere del nizzardo. E l'Isola non risulta insensibile al fascino della camicia rossa se già nel 1862 durante la visita a Parma di Garibaldi l'aveva fotografato in studio con un fondale raffigurante la città di Venezia ed aveva, successivamente, contribuito alla campagna per la libertà della Polonia fotografando Crispi, Cadolini e Cairoli, vendendone i ritratti e devolvendo metà del ricavato in favore della causa polacca.
Ma è nel giugno 1864 che al ritorno di Garibaldi da Londra si recherà a Caprera per ritrarvi il Generale.
Il 24 maggio 1864 Giacomo Isola di condizione fotografo e Bartolomeo Baroni, stampatore, ottenevano il nulla osta necessario al rilascio del “passaporto onde dirigersi a Genova”. È l'inizio di un viaggio che li porterà a Caprera ove l’Isola scatterà quella serie di fotografie a Garibaldi, sinopie ottiche di tutta una tradizione iconografica. Il successo della fotografia è legato, secondo una delle note ipotesi di G. Freund all'esigenza borghese di rappresentarsi e celebrarsi nella propria ascesa sociale e politica, ed è in questa chiave di lettura che si debbono porre le fotografie dei fatti e dei personaggi del Risorgimento nonché di tutta la ritrattistica di una società dopo l’unità . Inoltre non va dimenticata l'impossibilità tecnica, per la fotografia ottocentesca, di cogliere il movimento: impossibilità che ha determinato la separazione fra protagonisti, da un lato, e luoghi ove gli eventi bellici sono accaduti, dall'altro. Le immagini risultano veicolate attraverso la stampa periodica illustrata o attraverso le traduzioni litografiche, questa seconda modalità garantiva la diffusione di tirature di diverse centinaia di copie. Una seconda constatazione interessante è costituita dalla notevole rilevanza, nel corpus dell'iconografia risorgimentale, di quella garibaldina. Iconografia, quest'ultima, non di committenza governativa ma lasciata all'iniziativa dei singoli operatori che, così, testimoniano un interesse più profondo di quello legato alla legge del mercato. «Il professionista che fornisce i propri prodotti alla società è egli stesso un membro di quella società, ne interpreta le esigenze». Il fruitore delle immagini diventa, attraverso l'opera del fotografo, egli stesso testimone; le immagini di Caprera rappresentano il surrogato di un pellegrinaggio in situ, il ritratto di Garibaldi o dei garibaldini è l'equivalente di un'immagine devozionale. L'Isola, all'epoca della partenza per Caprera, ha 27 anni (nasce infatti nel 1837) e proviene da una famiglia di patrioti: i fratelli partecipano attivamente ai moti per l'Unità: Antonio vestendo nel 1848-49 la divisa dei volontari parmensi della Seconda Colonna Mobile al campo di Carlo Alberto; Carlo venendo condannato a morte per i moti del 22 luglio 1854, pena che la Sovrana Reggente gli commuterà nei lavori forzati a vita da scontarsi nel carcere di Mantova; Giuseppe che per aver partecipato agli stessi moti subirà la condanna del massimo della pena ai lavori forzati. Anche lo stesso Giacomo sarà partecipe di quei moti, ma è alla pittura che dedica le sue energie. Buon pittore paesista, allievo di Giulio Carmignani, è compagno di studi del di lui figlio Guido. Inizieranno ad esporre assieme, nel 1854, alla Società d'Incoraggiamento in pro degli artisti parmensi, esposizioni alle quali l'Isola risulterà assiduo fino a quella del 1868. Della produzione pittorica di quei primi anni si conoscono solamente quattro quadri: la Veduta di Colorno dalla parte di S. Liborio (esposto alla Società del 1857; il Paesaggio Montano conservato presso l'Istituto Toschi (che potrebbe risultare l'opera che gli valse il premio di la classe per il «Paesaggio» quale studente dell'Accademia nel 1857); Bosco dal vero in Toscana, premiato all'Esposizione del 1859 ed il Voltone nei pressi dell'Università pervenuto alla Galleria Nazionale dall'Esposizione del 1866. Non sappiamo con certezza chi gli fu maestro nell'arte fotografica. Se il Marchese Manara o qualcuno all'interno dell'Accademia o se questa gli fu insegnata da Fortunato Lasagna o Guido Calvi, certo non è un caso se altri suoi compagni d’Accademia, Francesco Spada ed Antonio Viglioli, abbandoneranno la tavolozza per la camera ottica. Le prime notizie pervenute ci sull'attività di Giacomo Isola, pittore-fotografo, sono del 1863 dapprima con studio in Pescheria Vecchia 5 poi in strada al Duomo 13 - Palazzo Dalla Rosa -, per terminare in borgo Angelo Mazza 17 all'epoca della sua morte. I primi anni di attività dell'Isola coincidono con gli anni in cui il fascino di Garibaldi fa accorrere molti parmigiani sotto le schiere del nizzardo. Lo stesso Bartolomeo Baroni, che accompagnerà Giacomo a Caprera, è volontario nei Cacciatori delle Alpi: l'Isola, a causa di una salute cagionevole, non veste la camicia rossa, ma opera in altro modo a fianco del movimento garibaldino. Nel 1863 ritrae gli onorevoli Crispi, Cadolini e Cairoli mettendo a disposizione metà del ricavato in favore della causa polacca. Nello stesso anno Garibaldi trascorrerà tutto il suo tempo a Caprera per rimettersi dalla ferita d'Aspromonte. Ad ottobre, nel corso del 10° congresso delle Società Operaie tenutosi a Parma, ne viene eletto Presidente per acclamazione. Senza muoversi dall'isola invierà una lettera perorando la causa della Polonia, ma l'anno successivo lo troviamo nuovamente in viaggio accettando l'invito del governo inglese (3 aprile - 9 maggio 1864) per visitare la Gran Bretagna. Non passa un mese dal termine del soggiorno inglese di Garibaldi che Isola giunge a Caprera,  ma lasciamo alla cronaca dell'epoca la descrizione delle motivazioni s dell'impresa: «Il fotografo Giacomo Isola desideroso di presentare al pubblico diverse fotografie in grande dimensione, rappresentanti il Generale Garibaldi, nonché diverse vedute di differenti punti di Caprera, fece un' escursione in quell'isola. Colà giunto, e presentato al Generale una lettera di raccomandazione, n’ebbe dall'eroe di Marsala la più benevola accoglienza a segno che fu per più giorni di lui ospite. Lo scopo del suo viaggio fu coronato da felicissimo successo, perchè poté ritrarre il Generale seduto su uno scoglio, ed anche in piedi poi la veduta generale dell'Isola di Caprera, la casa di Garibaldi di facciata e di fianco e due gruppi di amici del ,Generale». La fortuna delle fotografie fu duratura se ancora molti di. noi ricordano, nei primi libri delle elementari, Garibaldi assiso sullo scoglio. Giacomo Mantegazza, pittore ligure (1853-1920) ne ricavò un quadro, oggi al Museo del Risorgimento di Milano, in cui la minuziosa ricostruzione dei particolari mostra l'operazione di collage compiuta con le foto dell'Isola. Le informazioni del documento fotografico risultano stemperate dal bastone da pastore intagliato a cui Garibaldi si appoggia, alla intensa espressione del volto ed al gioco di contrasti tonali per ridurre la figura dell'Eroe ad uno stereotipo diffuso.
Buon ritrattista, dell'Isola si conservano numerosi ritratti di cantanti lirici frequentanti il nostro teatro; notevole è il reportage realizzato assieme a Carlo Antonietti sulla presa di Borgofortexiv, forse una delle poche campagne fotografiche realizzate durante la terza guerra d'indipendenza.
Deceduto prematuramente lo studio venne condotto per un anno dalla moglie Virginia Canali e successivamente rilevato da Pio Saccani e Angelo Sorgato.

L' Accademia di Belle Arti e la fotografia

La fotografia, intesa come processo negativo-positivo, venne utilizzata nella riproduzione del patrimonio artistico e storico con una certa cautela, sia per le difficoltà di ripresa che per la scarsa nitidezza degli effetti chiaroscurali dei dipinti; per queste difficoltà tecniche si preferì, per diverso tempo, fotografare le traduzioni incisorie dei dipinti anziché gli originali. L'Accademia Parmense di Belle Arti si mostrò dapprima contraria alla riproduzione fotografica delle opere d'arte motivando la propria posizione con la consapevolezza sulla situazione di quegli artisti locali che traevano dalle copie incise l'unico loro mezzo di sussistenza.
Il Corpo Accademico, dimostrerà una maggiore tolleranza e lungimiranza, sull'uso del mezzo fotografico, che nel passato allorché Léon Gerard, uno dei più abili calotipisti francesi dell'epoca, chiederà - nel 1859 - l'autorizzazione a riprodurre" gli affreschi della Cupola del Duomo, que' del Convento di San Paolo, i quadri del San Girolamo e della Madonna della Scodella nella Reale Pinacoteca". Nel rispondere a tale istanza si tese a ribadire come la riproduzione fotografica delle opere d'arte dovesse rispettare il principio di proprietà ed il diritto dell' autore sopra la propria opera, essendo i dipinti in questione di proprietà dello Stato spettava al Governo acconsentirne o meno la riproduzione.
I problemi della scuola d'incisione riemersero anche in questa circostanza. Gli accademici, pur affermando il non potersi contrastare la libertà di pensiero e l'esercizio ed il progresso delle arti opponendosi alla riproduzione di cose che siano di ragione pubblica, ribadirono il loro giudizio sulla riproduzione fotografica d'un intaglio eseguita senza il permesso dell'incisore bollandola come contraffazione. Sempre in questa occasione aggiornarono le disposizioni in materia di riproduzione di dipinti adeguandole a quelle adottate dall'Accademia di Belle Arti di Milano.
Ma ormai anche a Parma doveva essere ben conosciuta la lezione di Pietro Selvatico Estense, direttore dell' Accademia di Belle Arti di Venezia, che già nel discorso introduttivo “per la distribuzione de' premi” l’8 agosto 1852 aveva sostenuto come la fotografia “code sta temuta rivale dell' arte, le diventerà sorella nella educazione dell' artista... tutte le arti meglio s'accosteranno a sciogliere il grande enigma del vero” ed aveva concluso proponendo, a livello accademico, l'istituzionalizzazione della prassi di avvalersi della fotografia quale modello sostitutivo del reale.
Il ruolo che la fotografia ha avuto nelle vicende della pittura del secondo Ottocento è stato documentato dai numerosi studi su Faruffini, Dall'Oca Bianca, Marius Pictor, Paolo Michetti, Mariano Fortuny, Giulio Aristide Sartorio e Pelizza da Volpedo, artisti, questi, "colti in flagrante" debito con la fotografia. Anche in campo locale sono state studiate queste contaminazioni fra fotografia e pittura in alcuni quadri di Guido Carmignani e di Enrico Sartori.

L'Esposizione Universale del 1867

Le esposizioni internazionali, a partire da quella di Londra del 1851, si susseguirono con ritmi incalzanti offrendo all'architettura un campo di sperimentazioni del tutto nuovo.
La Commissione Reale Italiana per l'Esposizione Universale del 1867 nel programma per la sezione XXII (classi 65 e 74)  aveva ribadito l'importanza per l'Italia di raccogliere modelli, disegni e fotografie di quanto di meglio era stato "... prodotto nell'ultimo ventennio in opere edilizie, le quali destinate per gli usi e gli scopi a cui mirano, danno facilità a ciascuna provincia e ciascun Comune di mettere in evidenza la parte propria colla quale concorrono al lustro e alla ricchezza del paese". La volontà dei Commissari ordinatori era di esporre "quella parte dell'umano lavoro che, per tutto quanto alle costruzioni si riferisce viene ad identificarsi ... colla vita dell'uomo, della famiglia dei consorzi ... Le costruzioni devono considerarsi come il coefficiente più attivo della pubblica e privata prosperità, e che appariscono come la pagina più autentica della storia delle nazioni ... la condizione civile di un popolo si rileva nelle sue abitazioni, nelle forme degli edifizj pe’ suoi convegni, nelle vie di comunicazione, nei modi coi quali adopera l'arte del costruire a difesa propria e del proprio paese, e ad incremento delle industrie e de' commerci". Il programma così continuava: "in Italia si aggiungeva una ragione propria del suo portentoso risorgimento, onde fissare all'ultimo ventennio, la raccolta degli oggetti che meglio varranno ad illustrare questa parte dell'Esposizione; comprendendosi in quello spazio di tempo un sufficiente periodo anteriore e posteriore al momento in cui si ebbe la nostra politica rigenerazione”(15).
Le opere che interessavano il Comune di Parma erano quelle che "...non conservando importanza ed uso universale alla nazione, vengono naturalmente a collocarsi in grado subalterno..." e cioè le opere edilizie urbane (una ulteriore suddivisione di questa sottocategoria era quella delle opere edilizie rurali nelle quali la commissione proponeva di esporre "un esemplare delle proficue cascine lombarde, ove si fabbrica il cacio chiamato parmigiano") nella quale erano collocate le opere destinate ai servizi.
Le comunicazioni fra Pietro Torrigiani, commissario ordinatore della XXII sezione, e Francesco Scaramuzza, direttore dell'Accademia Parmense di Belle Arti e Presidente della Giunta Artistica, portarono a preferire le opere, "perciocchè ultimate o condotte nell'accennato periodo di tempo" che avrebbero rappresentato Parma all'Esposizione(16) ed in particolare furono scelte
via della Salute, la Casa di Custodia, la Corte d'Appello, la Barriera Vittorio Emanuele, i restauri al Regio Teatro e l'aggiunta all’edifizio dell'Università degli Studi(17).
Oltre a queste immagini(18) il Saccani realizzò altre fotografie, per un totale di ventun immagini, che costituirono l'Album presentato ad Amedeo d'Aosta in occasione del suo matrimonio con la principessa Maria Del Pozzo Della Cisterna(19).
Le immagini del Saccani, riprese con lastre al collodio(20), ci spingono al confronto con la città dei nostri giorni, quella che tutti conosciamo. Una prima reazione ci viene dalla profonda metamorfosi dell'aspetto urbano, metamorfosi che è comune all'Italia intera. La città che emerge da queste immaginixxi è, in effetti la città come si offriva agli occhi del fotografo, ma fissata secondo scelte di luce e di prospettiva che sono individuali, uniche ed irripetibili. Queste immagini hanno un modello nel censimento del patrimonio architettonico francese realizzato dalla "Mission Héliograpique" e precedono di un anno l'Anriot degli Edifizi, vedute quadri insigni di Modena, Bologna, Ravenna rappresentati colla fotografia mentre sono coeve a Turin ancien et moderne di Henry le Lieure. Realizzate, come si sosteneva dianzi, con l'intento di documentare il risorgimento morale dell'Italia anche nel campo dei lavori pubblici vennero commissionate dal Municipio parmense per essere inviate all'Esposizione Universale del 1867 per comprovare la realizzazione di tutti i più importanti lavori condotti a termine nel ventennio 1847-1867. Le stesse immagini, insieme ad altre vedute della città, costituirono l'Album parmense donato ad Amedeo d'Aosta. Infine una terza edizione, ampliata a 39 immagini con vedute di Sala Baganza, Colorno, Castelguelfo e riproduzioni degli affreschi del Correggio, e con il titolo di Album del Ducato di Parma, venne donata al duca Roberto di Borbone in occasione delle sue nozze con Maria Pia di Borbone-Napoli.
Saccani fotografa, nella maggior parte dei casi, dall'alto, secondo una visione urbana moderna, in modo da allargare il suo campo visivo o cercando di definire i primi piani, evidenziati da un elemento che può risultare, di volta in volta, uno spigolo, una staccionata, un paracarro od un lampione. Ottiene così un'immagine che non è mai frontale, come avviene nelle foto degli Alinari, ma che dal punto di vista compositivo risulta sempre ben delineata. Si preoccupa di sondare la realtà urbana attraverso una pluralità ed una frammentazione della visione tenendo conto anche dell'esperienze già avviate in campo locale come nel caso delle riprese del Duomo e del Battistero(21).
Da ultimo ha cura - se si pensa alla scarsa sensibilità dei materiali che obbligavano a lunghe esposizioni - di inserire l'elemento umano nel suo ambiente.
Saccani coniuga l'aspetto documentaristico con l'originalità della visione iscrivendosi, a pieno titolo, nel novero dei migliori professionisti della sua epoca.
Le prime notizie sull'attività di Carlo Saccani sono documentate nel foglio di famiglia del Censimento 1857 ove risulta già di condizione fotografo. Figlio di Antonio, usciere presso la camera di Commercio, e di Zampirini Maria all'epoca della redazione della scheda dichiara di avere 22 anni(22).
Primo di cinque figli, fra cui Luciano, maestro sostituto presso le scuole tecniche, Pio, che lo affiancherà nella conduzione dello studio, Emma e Renato, quest'ultimo morirà nel 1860 all'età di due anni, convive con Nisa Mazza di tre anni più anziana.
Nel 1861 si trasferirà con la famiglia in strada Porta Nuova 33 e nel 1862 affitterà un appartamento, che gli fungerà anche da studio, al 2° piano del palazzo in strada San Michele 81.
Il successo professionale deve essere stato rapido se lo stesso documento registra  un'entrata annua da fondi capitali o da industrie di ben 2.600 lire tanto da iscriverlo nella 2ª classe della contribuzione personale; inoltre emigrerà a Parigi, quasi certamente per motivi professionali, nel corso del 1864.
Lo studio in strada San Michele 81, sito presso la Chiesa di Santa Cristina, venne aperto il 20 maggio 1862(23); i primi annunzi commerciali informavano i probabili clienti che i ritratti su vetro (ambrotipi) costavano 2 lire nazionali mentre i ritratti nel formato carte-de-visite costavano 9 lire la dozzina(24). L'anno successivo sarà iscritto al n. 1506 nei ruoli della camera di Commercio come fotografo(25); l'iscrizione alla Camera di Commercio, in quegli anni era facoltativa (diverrà obbligatoria per legge solamente nel 1911), lo registrerà quale unico titolare dello studio fino al 1866 anno in cui risulta associato con il fratello Pio. L'associazione terminerà nel 1867 allorchè Pio sarà iscritto quale unico titolare dello studio. Presumibilmente fu in questo lasso di tempo, fra il 1866 ed il 1867, che il Saccani si trasferì a Firenze a dirigere la Fotografia Mazza, in via Parlamento 7(26).
Un avviso pubblicato sul periodico locale(27), a due anni dall'apertura dello studio, ci permette di conoscere le tariffe applicate nello studio: 1 copia costava 2 lire, mentre per 6 copie il prezzo raddoppiava, 12 copie costavano lire 6.50 mentre 24 copie lire 11.50. Nell'annunzio non venivano più citati i ritratti su vetro, immagini uniche come i dagherrotipi, ma si fa riferimento unicamente al formato visite.
Nel maggio del 1865 parteciperà all'Esposizione Dantesca in Firenze con fotografie delle settentatrè invenzioni Dantesche del Prof. Francesco Scaramuzza(28); all'esposizione fiorentina lo Scaramuzza aveva esposto i disegni originali mentre il Municipio di Parma esponeva le copie fotografiche realizzate dal Saccani(29).
Le riproduzioni fotografiche delle illustrazioni della Divina Commedia videro diverse edizioni, ad esempio, nella copia conservata presso l'Archivio Storico Comunale di Palermo, l'Inferno consta di 74 tavole e risulta edito in Firenze nel 1886, il Purgatorio, di 120 tavole, risulta edito in Parma nel 1878(30), mentre il Paradiso, costituito da 49 tavole, risulta edito a Firenze nel 1886. Una copia della Divina Commedia realizzata dal Saccani, conservata nel Fondo Landoni del Gabinetto dei disegni e delle stampe della Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio di Bologna, risulta edita fra il 1866 ed il 1875, ad avvalorare la datazione di questa edizione è la lettera del Saccani al direttore dell’Accademia di Belle Arti di Bologna del 16 novembre 1875 con cui annunzia che “Avendo pubblicato 19 fotografie della Divina Commedia che completano il Paradiso, come pure tutta l’opera io mi sono fatto in dovere di farne spedizione alla S.V. Ill.ma per mezzo della ferrovia; l’importo netto è di £. 38”
In concomitanza con la pubblicazione dell'ultima cantica e la riedizione della prima, il Saccani chiese al Municipio di Firenze di poter esporre, nella casa di Dante, la collezione della Divina Commedia "pubblicata ed eseguita con suo speciale processo su tavolette di porcellana inalterabile", istanza che la Giunta fiorentina - all'unanimità - deciderà di respingere(31).
Negli anni in cui il Saccani condusse la Fotografia Mazza, lo studio parmense mantenne il suo nome anche se condotto dal fratello Pio e dal padre Antonio(32); Pio Saccani risulta iscritto alla Camera di Commercio, quale fotografo titolare dello studio, dal 1867 al 1870. L'anno successivo l'atelier sarà rilevato da Guido Casali(33) e nel 1871, per un paio di mesi, da Carlo Mazza(34) prima di essere definitivamente chiuso.
Nel 1874 il Saccani pone in vendita, sempre per corrispondenza, i ritratti di Alessandro Manzoni e di Urbano Rattazzi al prezzo di lire 8 cadauno. L'anno precedente aveva compiuto un'analoga operazione con i ritratti di Nino Bixio, di Francesco Domenico Guerrazzi, di Gabrio Casati e del generale Manfredo Fanti; quest'ultimo costava 5 lire. Le fotografie venivano proposte alle amministrazioni pubbliche per mezzo del servizio postale e, con lo stesso, liquidate o restituite all'editore. Del Saccani si conservano, presso l'Archivio Storico del Comune di Parma, quattro fotografie dell'Arco eretto per la solenne entrata del re Vittorio Emanuele II realizzate nel maggio del 1860 che sono le immagini più antiche da lui realizzate che sono giunte sino a noi e che confermano la sua perizia nella veduta urbana(35).

La commercializzazione della fotografia

Dopo il primo periodo detto delle origini, durato poco meno di un quindicennio, nel quale le due tecniche della daguerrèotypie e del photogenic drawing (successivamente perfezionato con il calotype) caratterizzarono la fotografia anche in Italia, le ricerche scientifiche sui processi fotografici compiono un salto di qualità per la definitiva affermazione di questo mezzo di rappresentazione che tenderà a sostituire il disegno, la litografia, l'incisione e la miniatura in molte applicazioni.
Si affermò, grazie alle ricerche di Gustave Le Gray e Frederick Scott Archer, il processo al collodio umido con il quale risultò finalmente possibile sostituire la carta, quale supporto delle sostanze fotosensibili ai sali d'argento, con il vetro che per la sua completa trasparenza permise di ottenere immagini di grande nitidezza. Grazie a questo perfezionamento tecnico - il collodio è una miscela di nitrocellulosa, alcool ed etere che aderisce intimamente al supporto di vetro - fu possibile ottenere matrici negative dalle quali ricavare il numero illimitato di stampe positive.
Dalle lastre al collo dio si ricavavano copie su una carta all' albumina sensibilizzata con i sali d'argento dando avvio ad una produzione di massa delle immagini. Si realizzarono i primi album fotografici quali souvenir per i turisti del grand Tour e ricevette notevole impulso l'industria del ritratto. E negli anni Cinquanta e Sessanta dell'Ottocento che si svilupparono, ovunque in Italia, i laboratori fotografici a volte conviventi con altre attività artigianali (orologiaio, farmacista, macchinista, ecc.) spesso senza ambizioni artistiche ma con un forte connotato documentaristico.
In conseguenza di ciò nasce una figura di fotografo che deve impegnarsi ad organizzare il proprio lavoro secondo una maggiore professionalità in cui !'insegnamento non trova più spazio se non nella formazione dei collaboratori del laboratorio.
Accanto a questa nuova organizzazione del lavoro svolta negli studi cittadini si hanno numerosi casi di fotografi itineranti che frequentano paesi non provvisti di studi alla ricerca di mercati più remunerativi. In particolare per Parma vogliamo segnalare i casi di Carlo Grolli, Vittore Tronchi e Francesco Manghi.
In quegli anni forte è la mobilità dei fotografi dopo un’esperienza in studio molti vi rinunciavano per continuare un’attività in forma itinerante, oggi li definiremmo ambulanti, forse più facilmente remunerativa rispetto all’attività stanziale per mancanza di un mercato.
Al primo periodo che va dagli anni cinquanta dell’ottocento al biennio susseguente l’unità registriamo la presenza di Guido Calvi, Deogratias Lasagna, Filippo Beghi e Guglielmo(36), Giacomo Isola, Carlo Saccani, J. Clement Rusca(37) che saranno ben presto affiancati da una serie di studi molti dei quali dalla vita effimera. Ricordiamo: Felice Malusardi, Grolli Carlo e Vitali Giovanni(38), Vernizzi e C.(39), Cosimo Frassinetti(40), Lodovico Bigola(41), Napoleone Boschi(42), Guido Casali, Achille Rusca(43), Emilio Gerboni, Giuliano Panizz(44), Enrico Pezzani(45), Antonio Viglioli(46), Lucia Guardiani(47), Ercole Goldoni e C(48). od altri che si affermeranno e continueranno per lungo tempo la loro attività come Carlo Antonietti, Baroni e Gardelli, Francesco Spada, Pio Saccani. Negli stessi anni in provincia operano Francesco Brunani(49) a Fidenza e Venturini Linneo a San Secondo.
È interessante prendere in esame l’attività di uno di questi professionisti meno conosciuti come Felice Malusardi che operò per circa un ventennio dal 1862 al 1880.
Il Malusardilii nasce a Roma nel settembre 1821 da Nicola e Rosa De Nicolò, si sposa con Valeri Maddalena (Roma, 1820) dalla quale ha tre figli: Metilde, Federico ed Ernesto. I primi due nascono a Roma mentre Ernesto nasce a Bologna il 12 dicembre 1850. È dopo tale data che il Malusardi di condizione musicante, dapprima nella R. Banda e successivamente nell’orchestra del Teatro, giungerà a Parma e risulterà abitare in borgo Pescara (1857) per trasferirsi in borgo del Governo nel maggio 1858.
Volontario nella campagna del 1848 partirà nuovamente volontario nella seconda guerra d’indipendenza.
Fotografo attivo a Parma dal 1862 come si evince da una pubblicità apparsa sul locale periodico la “Gazzetta di Parma”(50) con studio presso la propria abitazione in strada Santa Lucia con ingresso da b.go del Governo 21 (1862-3). Nel 1863 partecipa, con fotografie non meglio identificate, all’Esposizione Industriale Parmense(51) senza ricevere alcun premio. Anche se poco dopo, con nota del 19 ottobre 1863, dichiara di cessare dall’attività di fotografo questa è databile sicuramente fino al 1878 grazie ad una foto conservata presso l’archivio privato di Peppino Calzolari(52).
L’ultimo Censimento della Popolazione del Comune di Parma(53), redatto in epoca ducale, alla scheda di famiglia lo registra come fotografo e musicante, quello successivo alla legge di riunificazione amministrativa del regno (1865), lo indica come già musicante nel Regio Teatro e fotografo, ed in una nota in calce alla scheda maestro di musica della Guardia Nazionale del Comune di Piacenza. Nel marzo del 1866 è – fotografo itinerante -nelle Romagne donde richiede un passaporto per il Veneto. Durante la campagna del 1866 fotografa alcuni volontari garibaldini pavesi di cui rimangono cinque fotografia al Museo del Risorgimento di Pavia(54). Una carte-de-visite raffigurante due garibaldini è conservata al Museo del Risorgimento di Bologna. A suffragare l’attività fotografica itinerante del Malusardi è il Censimento Generale della Popolazione del 1871 ove dichiara di essere pensionato con 36 lire annue e fotografo girovago anche se l’attività con uno studio fisso è probabile che cessasse già dal 1864 secondo la dichiarazione presentata ai fini fiscali come risulta in una lettera, conservata presso l’ASC di Parma. In essa Felice Malusardi dichiara di non esercitare più come fotografo da oltre 4 mesi; come maestro degli alunni della Banda della Guardia Nazionale asserisce di dare lezioni di tromba quando gli capita ed ha cessato anche come ammobigliatore di stanze. Nell’agosto 1870 è a Pescara ove fotografa Gabriele D’Annunzio all’età di sette anni come risulta dalla testimonianza di Filippo De Titta che descrive la foto che il ritrae il poeta(55):
“È il ritratto di Gabriele a sette anni di età, di Felice Malusardi fotografo di Parma che nel 1870 venne a Pescara; e il commendatore D’Annunzio lo invitò nella sua Villa del Fuoco dove, in gruppo e separatamente, fece fotografare tutta la famiglia. Del Malusardi, oltre a questo, conservo i ritratti del fratello minore e del padre di Gabriele. Il ragazzo ha i calzoni lunghi grigio-chiaro, con la larga banda nera alla militare, come costumavasi allora; ha i capelli pettinati con la scriminatura centrale; negli occhi grandi con sopracciglia poco marcate, nella gentilezza del profilo, nel colore castagno dei capelli era tutto sua madre. Col padre a prima vista non gli si dava molta somiglianza; però c’era; e c’è tuttavia in casa, un quadro ad olio che rappresenta un fanciullo con un cardellino in mano, e tutti credevano che fosse il ritratto di Gabriele: invece era di suo padre fanciullo. L’atteggiamento con quel piede sinistro sul destro e la mano in tasca, con quella cocca sulla pezzuola che esce dal taschino, farebbe pensare a una studiata spavalderia di fanciullo posatore; invece no: nessuno fu più di lui sincero: era naturalmente precoce come era naturalmente gentile; e non ebbe mai nulla di comune coi tipi del fanciullo moderno; né col bimbo oscenamente evoluto, né con l’omino od ometto dei libri di lettura: Gabrielino era quello che era, senza pose e senza menzogne. Nel taschino dei calzoni si deve vedere il ciondolo dell’orologio.”
Romano Rosati in Camera Oscura(56) riporta una fotografia datata 1864 della famiglia Meli Lupi ritratti nel cortile della rocca di Soragna (Pr), lo stesso autore sostiene, senza riportarne le fonti, che dopo il 4 settembre 1880 il Malusardi operi a Roma. Certo è che nel foglio di famiglia all’epoca risulta ancora di professione fotografo. Dopo tale data non abbiamo rinvenuto alcuna documentazione.
Carlo Grolli, dopo aver esercitato per alcuni anni - l'attività fotografica negli studi di borgo dei Servi e di borgo Regale viene segnalato, da alcuni documenti dell' Archivio Comunale, come fotografo a Badia Polesine (1868-1869) ed a San Bonifacio nel veronese (1870) prima di riaprire, nel 1873, uno studio in città.
Vittore Tronchi risulta dapprima fotografo a Camogli, nei primi anni Settanta, e successivamente, dal 1876, a Chiavari.
Oppure come nel caso di Francesco Manghi(57) che, dopo aver rilevato, nel 1865, lo studio di Jean Clement Rusca, nel maggio 1866 mentre si trovava a Mulazzo abbandonò l'attrezzatura fotografica presso una famiglia per arruolarsi volontario nei garibaldini.
L'incremento del numero degli atelier fotografici, oltre ad alimentare un sempre maggiore interesse per la fotografia, suscita un fenomeno amatoriale che ha bisogno di procedimenti fotochimici semplificati - con la commercializzazione, dopo il 1880, delle lastre alla gelatina-sali d'argento - e di apparecchiature fotografiche sempre più maneggevoli e precise che preludono agli odierni livelli di automatismo della fotografia.

NOTE

(1) Giuseppina Dubray dopo Parma si recherà a Bologna, una prima volta, nell’agosto del 1844 prendendo alloggio in Palazzo Zambeccari – al civico 1245 di Piazza de’ Celestini come annunzia in un foglio volante – ed una seconda nel 1846 quando opererà per due settimane in via Santo Stefano 75, Palazzo Colla; Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Bologna. Raccolta Bandii. A. Accademia di Belle Arti, b. 27 e “Gazzetta Privilegiata di Bologna”6 maggio 1846, n. 52; ibidem, 5 giugno 1846, n. 64.
(2) Dagherrotipista itinerante originario di Agram in Croazia, a Parma esercitava in borgo S. Bartolomeo 26.
(3) L. Grazzi, Risalgono al 1846 le origini dell’arte della fotografia a Parma in “Gazzetta di Parma”, 15 gennaio 1963.  Il Grazzi attribuisce al barone Ferdinando Bolla la paternità del dagherrotipo e delle indicazioni manoscritte nel verso: “Lo spasimo di Sicilia / (titolo d’un quadro di Raffaello Sanzio / Incisione del C. Cavalier Paolo Toschi / Riprodotta al dagherrotipo / 18 10.bre [corretto su 9bre] 1846 – Ore 2 ¾ pom. / in 50” in Camera / A tre metri dalla finestra / Luce di cielo sereno – Senza l’azione diretta del Sole / Parma Collegio di San Rocco”.
Nello stesso articolo il Grazzi riproduce un dagherrotipo del 1844 ritraente Tedolinda Bolla nata Bosazza ed un dagherrotipo di Carlo III sempre posseduto dalla famiglia Bolla. Sempre del Grazzi si ricorda l’articolo Rusca e Meylan introdussero l’arte fotografica nella nostra città in “Gazzetta di Parma” , 6 gennaio 1963 ove sono riprodotti due dagherrotipi uno di Antonio Conforti opera di Auguste Meylan datato Parma 24 aprile 1852 e quello della consorte Adelaide Farina eseguito da J.C. Rusca il 26 marzo 1860.
(4) Giuseppe Manara (Parma 1788-1870). Il marchese Manara, ciambellano di corte, realizzò molti ritratti di Carlo III a noi non pervenuti.
(5) Aminta Malpeli di Francesco e Irene Ferroni Irene nasce a Calestano (Pr), il 18 aprile 1812 nel Censimento della Popolazione del 1857 abita in strada a Porta Nuova al 2° piano del civico 33, ha un reddito annuo di 1500 lire di cui 900 di stipendio. Laureato dottore in medicina il 23 luglio1837 viene nominato astante alla Clinica Medica per disposizione sovrana il 3 dicembre 1840. il 4 febbraio 1856 è nominato Conservatore e preparatore del Museo di Storia naturale incarico che lascerà il 30 luglio 1881 per essere collocato a riposo; in ASCPr, Censimento della Popolazione 1857-1865, volume 13, scheda ad  vocem Malpeli Franco e Archivio Storico Università di Parma, Registro del personale universitario 2.
(6) Fortunato Lasagna pittore e fotografo attivo dagherrotipista passa alla calotipia o fotografia su carta che esegue assieme al fratello Deogratias come testimoniano tre stampe all’albumina tratte da calotipo della città di Modena provenienti dalla collezione di Romano Rosati datata 1855 e firmate Lasagna frères – Parme.
(7)  La “Gazzetta di Parma” del 10 e 11 maggio 1858 lo indica come fotografista proveniente da Modena. Cesare Obici fotografo e litografo è uno dei primi professionisti modenesi, espone dodici ritratti fotografici alla R. Accademia Atesina di Belle Arti del 1856; per il fotografo cfr. Ritratto di una capitale. Il Ducato Estense nella fotografia 1839-1863. A cura di Monica Marchesini e Roberta Russo. Modena, Raccolte fotografiche Modenesi Giuseppe Panini, 2003, p.117-118.
(8) L’interesse di Guido Calvi per la fotografià è documentato già dal 1854 allorchè richiede, allegando una copia del periodico, all’Ispezione Generale della Reale Gendarmeria il permesso di associarsi a La Lumière. Revue de la Photographie, permesso che gli sarà accordato dalla Segreteria Intima di Gabinetto con nota del 25 novembre 1854.; in ASPr, Segreteria Intima di Gabinetto, b. 282. Interesse che concorda con l’indicazione che Gianni Capelli, poi ripresa da Italo Zannier, diede per l’apertura dello studio del Calvi. Questi uomo eclettico, buon cavallerizzo e suonatore di violino, usava firmare la cronaca teatrale ne “L’Annotatore”. Lo studio del Calvi sito in borgo Riolo 21 venne rilevato dapprima da Achille Rusca nel luglio del 1865 per poi essere ceduto a Vernizzi e C.
(9) “Annotatore”, III(1859), 22 ottobre, n. 41.
(10) “Gazzetta di Parma”, 18 marzo 1863, n. 62, p. 250
(11) Camera di Commercio di Parma, Biblioteca, Matricola dei paventabili del Comune di Parma, 1863-1864. L’Isola è iscritto al n. 1507 d’ordine dell’anno 1863.
(12) “Gazzetta di Parma”, 21 ottobre 1863, p. 1256
(13) Esposizione Industriale tenuta a Parma in Supplemento alla “Gazzetta di Parma” del 23 gennaio 1864; cfr inoltre Esposizione Industriale Provinciale tenuta in Parma dal 22 novembre al 30 dicembre 1863. Catalogo ufficiale pubblicato per cura della Camera di Commercio ed Arti di Parma. Parma, coi tipi di Giacomo Ferrari, 1864.
(14) La copia delle foto realizzate dall’Isola sono conservate, seppur in forma anonima, presso l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito a Roma; mentre una serie, dedicata dall’Antonietti al Principe Umberto, è presente presso la Biblioteca Reale di Torino. Nelle foto torinesi Isola e Antonietti sono ritratti assieme ad un gruppo di militari il che fa supporre la presenza di un terzo operatore che, all’epoca della guerra del 1866, si presume possa essere Bartolomeo Baroni.
(15) ASCPr, Commercio e Industria 1867, b. 146, fasc. 4: Esposizioni. Il documento prosegue facendo riscontrare quanta vita nuova all'Italia, pur in mezzo a moltissime difficoltà ed al frazionarsi in tanti bisogni nuovi, si stesse adoperando "creando e migliorando tutto quanto in opere edilizie pubbliche e private".
Nell'Esposizione di Firenze del 1861, come in quella Universale di Londra del 1862, il concorso degli espositori si concretò nel partecipare con disegni e modelli di edifici non realizzati mentre in quella di Parigi era palese la volontà di produrre modelli e disegni di quanto di più rimarchevole era stato prodotto in Italia anche perchè la "ragion critica vorrebbe esclusi ... i disegni industriali che non abbiano riscontro di realtà, sembrando che persino le arti belle in opere di tele o marmi abbiano già incarnato il concetto artistico, laddove questa parte effettiva manca al disegno di un edifizio che ancor non esiste". I materiali da presentare ebbero una prima suddivisione fra opere private ed opere pubbliche: nelle opere pubbliche interveniva ua ulteriore ripartizione in marittime e terrestri; queste ultime, infine, comprendevano le strade rotabili e le strade ferrate, i ponti, le arginature dei fiumi principali e le opere di canalizzazione e distribuzione delle acque.
(16) L'ammissione alla Classe 65 del Municipio di Parma reca il numero 3047 di matricola.
(17) A.S.C.Pr, Commercio e Industria 1867, b. 146, fasc. 4: Esposizioni. Lettera datata 4 gennaio 1867 di Francesco Scaramuzza al Municipio di Parma.
(18) Le fotografie, conservate  presso l'Archivio Storico del Teatro Regio-Casa della Musica nel Legato Mario Ferrarini e contrassegnate dai nn. LF 64-79, sono eseguite con la tecnica della stampa all'albumina e rappresentano i seguenti luoghi: Il Palazzo Ducale, Il Palazzo della Prefettura, Via della Salute, La Chiesa di Santa Maria degli Angeli, La Chiesa di San Giovanni Evangelista, La Corte d'Appello, Il cortile della Pilotta, Il Convento di San Paolo, La Palazzina di Riserva, La Stazione Ferroviaria, La Chiesa di San Vitale e la strada San Michele, Piazza Grande e il Palazzo del Governatore, Il Duomo, Il Teatro Regio, Il Lungoparma e il campo di Marte, Piazza Grande e il Municipio, Il Battistero.
(19) A.S.C.Pr, Amministrazione Comunale 2, 1867, b. 144, fasc.: 7: diverse. Le nove prime copie copie delle fotografie dei monumenti vennero acquistate dall'Amministrazione comunale al prezzo di 15 franchi ciascuna, la seconda copia venne pagata al prezzo di cinque franchi cadauna fotografia. Anche le immagini dell'album donato ad Amedeo d'Aosta, anch'esse montate su "carta della china", costarono 5 franchi ciascuna. La spesa venne liquidata con atto della Giunta Municipale in data 2 ottobre 1867.
(20) L'adozione del collodio riuscì a soddisfare l'esigenza, tipica delle riprese d'architettura o delle riproduzioni d'arte, della definizione del dettaglio, inoltre con l'adozione del collodio umido si ridussero notevolmente i tempi di posa che poterono raggiungere 1/25 di secondo, che era, per quel periodo, un risultato eccezionale, se paragonato al tempo di esposizione necessario per realizzare un calotipo : dai 2 ai 5 minuti in una giornata perfettamente serena. Nonostante ciò le immagini di persone in movimento davano luogo a figure mosse - il cosidetto "fantasma" - generando una fotografia disanimata. Le rare presente umane sono rappresentate, nella maggior parte dei casi, dalla benevola complicità dell'assistente del fotografo o di qualche passante compiacente.
(21) In particolare fece tesoro della lezione di Filippo Beghi - uno dei primi fotografi parmensi a realizzare vedute urbane - nella ripresa dei monumenti. Quest'ultimo scrisse ne Della fotografia e della sua applicazione alle belle arti ed alle scienze apparso in "La Stagione" del dicembre 1858, p. 60: "Nè di minore avvedutezza fa duopo per le riproduzioni dei monumenti. Esiste talvolta un punto di veduta unico per apprezzarli in tutta la loro bellezza artistica, mentre veduti da tutt'altro lato possono apparire opere o di poca importanza o difettose. Per ciò vuolsi aver gran cura nello scegliere il punto di collocamento della camera nera: nè basta per ottenere una copia artistica: converrà cogliere il momento in cui produca migliori effetti ottici, ed ove si trattasse, a modo d'esempio, di un monumento di tinte grigie e brunacee, sopra tutto poi quando vi fossero molti piani ricchi d'ornamenti, bisognarebbe cogliere l'istante in cui il sole li rischiarasse, per quanto più si potesse ottenere, diagonalmente. Il nostro Battistero potrebbe servirci di esempio chiarissimo per l'applicazione di questo precetto. I finisimi dettagli gli spessi piani di questo magnifico monumento sfuggirebbero e scomparirebbero del tutto sotto l'influenza troppo viva del sole alto sull'orizzonte, mentrecchè verso le tre o le quattro dopo mezzodì (intendo on tempo delle lunghe giornate) si distaccherebbero con ammirabile nettezza".
Inoltre vale la pena di rimarcare come la fotografia della stazione si inserisca nel filone documentaristico dell'architettura industriale che prendendo avvio dopo l'Esposizione Universale di Londra del 1851, trovò un particolare impulso nella Francia di Napoleone III. La fotografia di documentazione delle costruzioni ferroviarie francesi, iniziata nel 1851 con la stazione di Tours fotografata da Gustave Le Gray e proseguita con gli album realizzati da Edouard-Denis Baldus nel 1855 e nel 1861 e con la campagna di O. Geoffroy sul materiale de le Chemin de fer du Nord (1858). Le stazioni, di norma costruite fuori dalle mura come nel caso di Parma, rimasero per lungo tempo una strana appendice alla città costitituendo una cesura rispetto alle antiche stazioni di posta che, tipologicamente non difformi dalle altre costruzioni, erano integrate nel tessuto urbano;  mentre queste si affermarono come costruzioni industriali nelle quali erano presenti le caratteristiche tipologiche della fabbrica e del palazzo leggibili nelle parti in ferro e vetro e nelle strutture in muratura. Nell'immagine della stazione realizzata dal Saccani la tettoia, presumibilmente in ferro, è stata mascherata in sede di stampa come si può notare osservando attentamente la fotografia e così pure le piante aderenti alla staccionata, sulla sin., risultano anch'esse mascherate.
(22) ASCPr, Censimento della Popolazione 1857-1865, vol. 7, scheda ad vocem Saccani Antonio.
(23)  n. 108, 13 maggio 1862, p. 432.
(24) Gazzetta di Parma, n. 119, 26 maggio 1862, p. 496; l'avviso venne ripetuto, identico, nelle edizioni dei giorni 12, 13, 27 e 30 maggio e ripreso nei giorni 18, 23, 26 agosto e nei n. 198, 212, 218, 221.
(25) Camera di Commercio-Parma, Biblioteca, Matricola dei patentabili del Comune di Parma, anno 1863, vol. 1863-1864.
(26) P. Becchetti, Fotografi e fotografia in Italia 1839-1880, Roma, Edizioni Quasar, 1978, p. 67.
(27) Gazzetta di Parma, n. 234, 15 ottobre 1864, p. 936.
(28) Esposizione Dantesca in Firenze. Maggio MDCCCLV, Firenze, Le Monnier, 1865.
(29) La Divina Commedia colle illustrazioni di Francesco Scaramuzza fotografati da Carlo Saccani e con note filosofiche e politiche, Parma, presso l'editore Antonio Saccani.
(30) Debbo alla cortesia di Giacomo Agostini la segnalazione di una edizione del Purgatorio uscita nel 1870 in concomitanza con il Congresso Artistico, copia che consta, anch'essa, di 120 tavole.
Mentre la seconda edizione del Purgatorio (1878) è coeva all'esposizione dei cartoni dello Scaramuzza esposti nel ridotto del Teatro Regio fra l'aprile ed il maggio di quell'anno.
(31) ASCFi, Deliberazioni della Giunta Comunale, Verbale del 18 giugno 1886.
(32) A.S.C.Pr, Fabbriche-Acque-Strade 1867, b. 150, fasc.: diverse.
Antonio Saccani, di professione fotografo, risulta al n. 64 d'ordine nelle firme di coloro che aderiscono ai Pensieri di alcuni operai Capi-d'arte della città di Parma intorno al lavoro ed appello ai loro colleghi e concittadini pubblicati dalla Tipografia Ferrari il 26 febbraio 1867. L'istanza diretta al Municipio invitava l'Amministrazione pubblica a rivolgere la domanda di lavoro direttamente ai produttori. In altri documenti, conservati sempre presso l'Archivio Storico del Comune di Parma,  Antonio Saccani risulta editore dell'opuscolo allegato alle fotografie delle Cantiche dantesche.
(33) Guido Casali (Parma 1845 - Cortile S. Martino 1882), premiato con menzione onorevole per ritratti di piccolo formato e vedute dal vero all'Esposizione Provinciale Parmense del 1870. Titolare di uno studio in borgo Regale 2 dall'agosto 1869 al febbraio 1870 si stabilirà nello studio di strada S. Michele 81 nella seconda metà del 1870 prima di traslocare in strada dei Genovesi 47, dove sarà attivo dal 1871 al 1874 come risulta dai ruoli della Camera di Commercio. L'unico documento dal quale risulta l'indirizzo dello studio già del Saccani è riportato a margine di tre fotografie riproducenti il castello di Montechiarugolo e la Torre di Baganzola conservate presso l'Archivio Storico del Teatro Regio di Parma.
(34) Camera di Commercio-Parma, Biblioteca, Matricola dei patentabili del Comune di Parma, 1871.
(35) Sulle fotografie realizzate per la visita del re cfr. R. Spocci, Maggio 1860. Vittorio Emanuele II a Parma in "Malacoda", a. VI(1990), n. 32, pp. 17-40. Oltre alla copia parmense se ne conosce un'altra conservata presso la Biblioteca Reale di Torino in una cartella Arco eretto per la solenne entrata del Re Vittorio Emanuele II il 6 maggio 1860 che contiene 10 fotografie di cui quattro del Saccani e sei firmate da Filippo Beghi.
(36) BEGHI Filippo (1812-1872). PARMA. Fotografo attivo dal 1857 ca. - al 1871), studio: str. S. Nicolò 21. Figlio di Vincenzo, avvocato,  e della contessa Vittoria Liberati nasce nella casa di strada S. Barnaba 87 il 16 febbraio 1812.
Espone 8 ritratti all’Esposizione del 1858, offre una foto nel 1860 per la “Lotteria a benefizio della Sicilia”, concorre all’Esposizione Industriale Parmense del 1863 ove viene premiato con medaglia d’argento.
Il suo necrologio ne ripercorre gli interessi “All’alba del 19 maggio lo rapiva ai figli, ai parenti, agli amici ... Membro di di scientifiche ed artistiche accademie, fregiato di medaglie coniate al suo merito ... La pittura un valente seguace. La fotografia, la galvano-plastica uno de’ suoi perfezionatori ... C.O.A.”.
Utilizzò, fra i primi, la fotografia per documentare capolavori artistici, affiancato nella conduzione dello studio dal figlio Guglielmo. Nel 160 documentò l’Arco di Trionfo per la venuta a Parma di Vittorio Emanuele II e la Piazza Grande, Nel 1864, edito da Gaetano Boni, uscì un suo album con i dipinti del Correggio ed un secondo album con gli schizzi di Gaetano Martini.
Del fotografo sono conservate presso la Biblioteca Reale di Torino [A80(9)] delle Tavole fotografiche di Filippo Beghi concernenti il Battistero di Parma. 1861.
Bibliografia: “Il Presente”, a. VI, n. 139, 21 maggio 1872
BEGHI Guglielmo (1837-1900). PARMA. Studio b.go Cappello 2 (1865-1866 set). Fotografo, figlio di Filippo Beghi e Freman Marietta, nacque a Parma il 20 gennaio 1837 e morì a Torrile il 1° novembre 1900. Risulta iscritto nel registro della popolazione residente del Comune di Torrile dal 19 giugno 1873. Coniugato dal 1866 con Mutti Maria, deceduta il 28 gennaio 1914, ebbe - da questa - una figlia di nome Beghi Marietta, nata a Traversetolo il 15 luglio 1867, nubile, deceduta a Torrile il 22.6.1954.
Fonti: Archivio del Comune di Torrile. Stato Civile.
(37) RUSCA Jean-Clement (att. 1854, 1859, 1860-1863). PARMA. strada S. Michele 198 (1860-1862). Giovanni Rusca ritrattista al dagherrotipo venne a Parma, per la prima volta, proveniente da Reggio Emilia il 20.12.1854; ritornerà nel 1859 (24-25gennaio) proveniente da Torino. Il 12 gennaio 1860 è in strada S. Michele 198. Nel dicembre 1862 si trasferisce a Piacenza ed infine dichiara di essersi trasferito a Milano il 28 luglio 1865. Contemporaneamente, Becchetti, lo da a Ravenna (Casa Patuelli) nei primi anni sessanta.
(38) VITALI Giovanni socio a Grolli Carlo nello studio di fotografi e pittori in borgo dei Servi (1863) l'anno successivo si trasferiranno in borgo Regale, la società è registrata ancora nel 1865 Giovanni Vitali di Rinaldo morirà nel 1871.
(39) VERNIZZI Ludovico (att. 1863). Parma. Risulta fra gli iscritti alla Soc. Mutuo Soccorso fra gli operai e commessi del Comune di Parma; sarà attico come Vernizzi e C. dal 1865al 1866 in borgo Riolo 21 nello studio che era stato di Guido Calvi.
(40) FRASSINETTI Cosimo  calcografo fu attivo come fotografo nel triennio 1866-1868 con studio in strada Nuova 3 (1866,1868) e strada San Quintino 1 (1867).
(41)BIGOLA Ludovico (1822-1905) Incisore e pittore, allievo dello studio Toschi, alla morte del Toschi fu nominato sostituto di Carlo Raimondi nella prosecuzione dell’opera di traduzione degli affreschi del Correggio. Intagliò rami per numerose imprese editoriali dello studio parmense: La Galleria Pitti del Bardi, La Reale Galleria di Torino del D’Azeglio, La Reale Galleria di Firenze del Ranalli. Professore d’incisione all’Accademia Albertina di Torino durante la permanenza torinese iniziò ad incidere francobolli e carte valori. È documentato il suo interesse per la fotografia nel 1859-1860 ca.
(42) BOSCHI Napoleone nato a Parma nel 1833 fu attivo nel periodo 1865 lug- 1886 con studi in  b.go S. Chiara 6 (1865), strada S. Silvestro 17 (1868). strada del Quartiere 61 (1872-1876). strada del Quartiere 79 (1877). strada dei Genovesi 79 (1878-1883). via Farini 79 (1884-1886).
Boschi arriva alla fotografia dopo aver esercitato diversi mestieri: dapprima postaro e pizzicagnolo. Da quest'ultima occupazione  cessa il 31 maggio 1865 per intraprendere l’attività di fotografo il 1° luglio 1865 in borgo S. Chiara, nel 1867 dalla scheda di popolazione, risulta residente in strada del Quartiere 65,  di condizione postaro e fotografo. Anche Boschi proviene dalla schiera dei fotografi garibaldini, è volontario nelle campagne del 1859 e del 1860-1861.
(43) RUSCA Achille Eugenio(att. 1865). Parma. Nasce il 21 agosto 1833 a Pavia di professione fotografo prende a condurre il laboratorio fotografico di Guido Calvi posto in casa Paralupi, borgo Riolo 21 dal 20 luglio 1865.
(44) PANIZZI Giuliano (att. 1867). Parma. p.le S. Silvestro 14. Di Giuseppe nasce a Brescello, l’11 settembre 1817, soldato musicante poi professore  nell Orchestra; viene successivamente  indicato come  postaro e fotografo in B.go S. Silvestro 14 nel 1867.
(45) PEZZANI Enrico (att. 1867-1874 ca.). Parma. studio: borgo degli Studi 4, rimpetto a S. Elisabetta, borgo degli Studi 2 (1868), strada S. Lucia 57. B.go S. Biagio 2 (1868-1874). Pezzani Giuseppe Enrico fu Carlo Decedette nel 1879. La pubblicità del negozio apparsa nella Guida del Bosi (A. Bosi, Guida artistica commerciale ed amministrativa di tutte le città, borgate, paesi e villaggi situati sulla linea ferroviaria da Milano a Bologna, Milano-Bologna, 1880, pag. 96) la indica come Libreria antica e moderna, Cartoleria, fotografie ed incisioni. In una Guide…di Carlo Malaspina edita nel 1871 (Guide aux principaux monuments de la ville de Parma, avec la via et les ouvrages d'Antoine Allegri de Correge decrfites par Charles Malaspina. Parme, chez Henry  Pezzani Libraire, rue Sainte Lucie n. 57, [1871]) avvisa che presso di lui si trovano da vendere tutte le opere del Correggio menzionate nella guida e tutti i monumenti principali descritti nella medesima opera dello studio fotografico Pezzani: Battistero, Biblioteca nazionale, Cattedrale, Camera di San Paolo, Chiesa dell’Annunciata, Chiesa di S. Giovanni Evangelista, Museo d’antichità, Palazzo Farnese, Steccata, Teatro Farnese. Avvisa inoltre che presso di lui è in vendita una collezione completa di incisioni eseguite dal Toschi sugli affreschi del Correggio.
Coadiuvante di Enrico Pezzani è il fotografo G.B. Folchi autore di una Enciclopedia dei viraggi edita dallo stesso Pezzani.
(46) VIGLIOLI Antonio (att. 1867-1876). PARMA. volta Politi 7 (1867), strada S. Barnaba 56 (1871-1876 feb 5) Figlio di Giuseppe e Angioletti Luisa, successivamente sarà a Chiavari in corso Garibaldi 5 come testimoniano i marchi di numerose foto; ciò nonostante non risulta mai iscritto nei ruoli della Camera di Commercio (non risulta nemmeno iscritto fra i residenti del Comune di Lavagna). Nel 1870 partecipa al 1° Congresso Artistico ...Nel 1881 si imbarca per l’America.
(47) GUARDIANI Luigia o Lucia (att. 1867-68). Parma b.go Regale 2 (1867 nov 10 aprile 1868)
(48) GOLDONI Ercole & C. (att. 1872-1873). Attivo in borgo Regale 15 (1867 nov 10 aprile 1868)
(49) BRUNANI Francesco (Fiorenzuola d’Arda    - Fidenza 1900). Borgo San Donnino. Via ai Bagni di Tabiano 6. Fotografo attivo in Borgo San Donnino. Figlio di Stefano e Delvivo Veronica, deceduto in Borgo S. Donnino il 19.4.1900; nell’atto di morte risulta essere nato a Fiorenzuola d’Arda, di anni 77, fotografo coniugato con Baiocchi Telesfora. In un marchio presente in una foto databile al 1870 ca. risulta l’indicazione “Brevetti d’invenzione sul doppio fondo sistema Crozat”. Alcune sue foto che ritraggono volontari garibaldini sono conservate nel Museo del Risorgimento di Bologna e nel Museo del Risorgimento di Fidenza (Parma). Nel catalogo dell’Esposizione Industriale Parmense del 1863 è indicato erroneamente con il nome di Fiorenzo e risulta orafo di professione.
(50) “Gazzetta di Parma”, 30 agosto 1862, n. 197, p. 814
(51) Esposizione Industriale Provinciale tenuta in Parma dal 22 novembre al 30 dicembre 1863. Catalogo ufficiale pubblicato per cura della Camera di Commercio ed Arti di Parma. Parma, coi tipi di Giacomo Ferrari, 1864;
(52) Archivio privato Peppino Calzolari, Parma: trattasi di un'immagine di famiglia [Carlo, Ulisse e Roberto Calzolari: Parma, 1878] /  Felice Malusardi.-[esec.1878]. -1 foto formato carte-de-visite: albumina, 90x57 mm.

(53) ASCPr, Popolazione 1857-1865, vol. 17, scheda ad vocem.
(54) Devo la segnalazione a Giovanni Giovanetti e Gigliola De Martini. Le foto sono riprodotte in M. Milani, Risorgimento Pavese. Milano, Effige, 2004
(55) Biblioteca provinciale di Chieti, Fondo de Titta. La foto con dedica a Filippo de Titta reca la data "Pescara 1870 Agosto" e il marchio "Felica Malusardi- Fotografo-Parma"; sono doveroso della cortese segnalazione ad Enrico Di Carlo.
(56)
 R. Rosati, Camera oscura 1839-1920. Fotografi e fotografie a Parma. Parma, Artegrafica Silva,1990, p. 107 
(57) Lo studio del Manghi era in strada S. Michele 198, nato a Campegine nel 1818 muore a Parma nel 1881. Nel maggio del 1868 si trasferisce a Zibello come usciere della Pretura.

 
 
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